lunedì 30 marzo 2009

INTERVENTO MINISTRO DELLA GIOVENTU’

On. Giorgia Meloni
Roma, 28 marzo 2009

Saluto quella che ho di fronte, che è già una bellissima realtà italiana, dal punto di vista sociale e politico. Governa la nazione, piccoli borghi, grandi città, province e regioni, viene ammirata come importante forza europea, ed è presente nell’immaginario collettivo, soprattutto grazie alla popolarità del premier Silvio Berlusconi. E oggi, con la traduzione organizzativa di questa bella intuizione politica noi compiamo il passo definitivo nella realizzazione di un soggetto che fa già la storia di questa nazione, ma che soprattutto ambisce a lasciare di sé una traccia di benessere e dignità che duri nel tempo. E voglio ringraziare Gianfranco Fini e tutta la Comunità che lo ha accompagnato in questo percorso, perché se dentro questo progetto c’è la destra italiana con il suo orgoglio e la sua identità lo dobbiamo soprattutto alla loro lungimiranza e alla credibilità che hanno costruito per se e per la propria gente.

Oggi nasce il primo partito italiano dell’era moderna. Non una zoppicante sintesi di interessi, o la somma delle idee che hanno segnato un secolo ricco di fermenti culturali e politici, ma ormai finito, come il novecento, né tantomeno il furbo restyling di una classe dirigente, magari uscita sconfitta dalle urne. No, oggi diamo vita a un movimento del futuro, nel quale l’unica sintesi possibile è quella tra la modernità delle idee, delle soluzioni, e l’amore per la grande tradizione del popolo italiano.
E lasciatemi dire una cosa, che mi è capitata ancora qualche giorno fa in tv. Mi provoca profonda tristezza vedere gli uomini della nostra sinistra spellarsi le mani per applaudire quelli che da fuori, senza conoscere l’Italia, le sue esigenze o i suoi problemi, sono sempre pronti a darci lezioni di civiltà. Io rivendico che l’Italia è una nazione sovrana, e i suoi rappresentanti – che li si condivida o no – sono eletti dalla sua gente e per questo meritano rispetto. Sempre. Perché in patria possiamo confrontarci anche in modo aspro e vigoroso, ma altra cosa è compiacersi degli insulti all’Italia che dovessero venire da un qualche ministro della giustizia brasiliano, o da un commissario europeo spagnolo, oppure dalla bella ma sprovveduta moglie di un pur bravo presidente della repubblica francese.
Questo sentimento si chiama orgoglio nazionale, senso di appartenenza, ed è purtroppo ancora estraneo alla cultura della sinistra italiana, così abituata nel novecento a chiedere aiuto a potenze straniere per affermarsi all’interno dei suoi confini nazionali – costringendo il nostro popolo a pagare per questo un prezzo di libertà altissimo – da non riuscire ancora oggi ad amare l’Italia più della propria ideologia.
Anche per questo credo che, invece, la ragione sociale del PDL debba essere proprio quella di interpretare l’identità più profonda del popolo italiano. Ma esiste una identità nazionale definita e tangibile? Esiste un comune sentire fatto di valori, tradizioni, speranze che attraversa l’intera penisola, che risale monti e vallate, sfiora le nostre coste, che si infila nel traffico delle nostre grandi città e poi si immerge nelle tranquille acque del Mediterraneo?
Io credo di sì. La nostra cultura nazionale è il prodotto di una mescolanza furiosa di elementi comparsi via via nel corso dei secoli, che ci appartengono e ci guidano anche se non li abbiamo studiati sui libri di scuola.
Perché per riconoscere la tensione spirituale che abbiamo dentro non c’è bisogno di aver letto la Summa Teologica di San Tommaso, basta ascoltare la sensazione di pace che provocano le campane della domenica mattina. Così come non c’è bisogno di conoscere le Istituzioni di Giustiniano per apprezzare l’ordine delle leggi e le libertà che queste garantiscono.
Questo senso comune è molto più profondo di quanto lo snobismo della sinistra italiana voglia credere. È qualcosa di semplice, pulito e onesto come il pranzo della domenica in famiglia, il tifo sfegatato per la nazionale di calcio, ma anche l’indignazione per un episodio di mala sanità o la rabbia della gente in strada di fronte alla notizia di una violenza vigliacca che ha per vittime due ragazzini a cui hanno distrutto la loro prima storia d’amore, e forse la vita stessa.
Per questo mi piace credere che il Pdl possa invece essere anche la dimora del senso comune degli italiani, dove non si ha paura di sporcarsi con la realtà di tutti i giorni, di passare per retrogradi o populisti, perché si ha la consapevolezza di essere veri, autenticamente popolari.
Credo che la dizione Popolo della Libertà possa e debba racchiuderne molte altre. Tra queste, PDL può e deve significare anche Popolo della Legalità. Perché noi siamo tutti figli di Paolo Borsellino, e perché dove regna la legalità vince la sicurezza dei cittadini più deboli, vince l’economia sana che produce ricchezza, vince l’amministrazione pubblica che crea sviluppo, vince il talento dei più bravi. Il Popolo della Legalità deve essere in guerra contro camorristi e mafiosi di ogni specie, contro la criminalità che giunge da fuori per dare l’assalto alle case degli italiani, contro gli speculatori col colletto bianco. E questo significa anche attenzione a certe candidature, perché poi le azioni devono rispondere alle idee.

E poi questo può e deve essere il Popolo dell’Ambiente, della difesa della terra e dell’acqua, e ancora il popolo del merito. Vogliamo graffiare via, uno per uno, tutti gli ostacoli che dal ‘68 ad oggi sono stati posti sulla strada dell’affermazione del talento e del carattere di ognuno. Perché contrariamente a quanto ci viene detto da quarant’anni, la meritocrazia non esclude ma include, perché consente alle persone di affermarsi in ragione di quello che sono e non in ragione di quello che hanno.
Ma anche qui, passare dal declamare un valore a costruirlo significa battersi contro le rendite di posizione, i privilegi, le caste. Guardo in questi giorni, compiaciuta, le baronie che hanno messo in ginocchio l’università italiana tremare di fronte ai provvedimenti del governo e aspetto di vedere tante altre oligarchie travolte dalla rivoluzione del merito che l’Italia aspetta da decenni. E credo che sarebbe un bel segnale in questo senso anche ripensare l’attuale legge elettorale, per dare la possibilità agli italiani di scegliere da chi farsi rappresentare in parlamento e ai parlamentari di misurarsi con il consenso degli italiani.
Lo dico anche in relazione alla questione giovanile. Perché non considero un caso che mentre gli under 35 eletti in parlamento sono il 5% quelli eletti negli enti locali, dove ci sono le preferenze e i voti devi andarteli a prendere uno per uno, siano invece 27.000, oltre il 20% del totale.
Allora questo è anche quello che ci chiedono i giovani italiani. Non quote gialle o corsie preferenziali, nessun sei politico, nessun aiutino, ma la possibilità di misurarsi sul terreno del merito è quello che chiedono questi ragazzi esattamente quarant’anni dopo quelli che nel ’68 gridavano “Largo ai giovani” ma ora blindano la propria posizione sociale.
Credo che la gioventù italiana possa rappresentare un incredibile valore aggiunto, e vorrei che questo fosse anche il Popolo della Gioventù, non in senso anagrafico, ma nel senso di uomini, donne ed azioni politiche orientati ben al di là della prossima scadenza elettorale.
Il Popolo della Libertà non vuole rinunciare al contributo di energie, freschezza e idealità che può arrivare da questa giovane generazione, come dimostra anche il bel segnale dato ieri con l’apertura di questo congresso. Motivo per cui considero fondamentale l’esistenza, nel PDL, di un movimento giovanile che si rispetti. Un movimento giovanile non indipendente, ma tanto autonomo da eleggere dal basso i propri dirigenti perché possano essere credibili. Tanto libero da poter rappresentare un laboratorio politico e culturale, costruire sintesi, produrre avanguardie. Tanto forte da poter rappresentare il luogo privilegiato dal quale attingere per schierare la futura classe dirigente del partito e della nazione.
Ecco che cosa è il Popolo della Libertà. Non un ammasso di identità diverse e inconciliabili, ma un luogo nel quale idee e valori sanno convivere con delle persone in carne e ossa.

E’ il popolo di Silvio Berlusconi, per fortuna, ma anche di militanti, dirigenti, semplici iscritti e gente comune, che spende tanta parte della propria vita in un tentativo generoso di riscatto per il proprio quartiere, la propria città o regione, per l’Italia.

E’ il popolo di quei ragazzi e di quelle ragazze in divisa che rischiano tutti i giorni la propria vita nelle periferie degradate d’Italia, come nel deserto polveroso dell’Afghanistan.

E’ il popolo di quegli operai a cui una certa cultura sindacalista ruffiana preferisce pagare il viaggio a Roma ed il pranzo al sacco per tirare la volata ad un partito politico in campagna elettorale, piuttosto che difendere davvero i loro diritti e la loro incolumità.

E’ il popolo di quegli insegnanti e studenti che per troppi anni hanno subito la prepotenza culturale e talvolta fisica di alcuni loro colleghi spalleggiati da una cultura arrogante, faziosa e violenta.

E’ il popolo di quegli imprenditori italiani che guardano dritto in faccia questa crisi maledetta e non abbassano lo sguardo, sfidandola con genio e coraggio.

E’ il popolo di quei lavoratori precari che come guerrieri senza patria combattono una battaglia per la sopravvivenza, cambiando continuamente città e mestiere e ricominciando, ogni volta, la loro vita da capo.

E’ la casa degli italiani che sono tali non solo per nascita, ma per scelta, libera, volontaria, quotidiana. Italiani perché ogni giorno contribuiscono al progresso della nostra terra, a prescindere dal colore della pelle o dalla nazione di provenienza.

E’ anche il popolo di quella suora che per diciassette anni ha accarezzato il volto di una donna incapace di muoversi ed di parlare eppure ancora in diritto di essere amata.

Il Popolo della Libertà è il partito del futuro con solide radici nella tradizione nazionale. Ambiente, legalità, merito e gioventù, saranno le idee nuove da incardinare in un impianto di valori antichi come la sacralità della vita e l’amor di patria.

Consentitemi allora di chiudere con una citazione che io considero una sorta di promessa da fare tutti insieme all’alba di questa nuova grande avventura. In una lettera indirizzata al figlio poco prima di essere giustiziato per aver disertato l’esercito austriaco perché voleva combattere con il nostro tricolore, l’irredentista Nazario Sauro scrisse poche semplici parole:

“Su questa Patria giura, e farai giurare ai tuoi fratelli quando avranno l'età per ben comprendere, che sarete sempre, ovunque e prima di tutto italiani”.


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